giovedì 23 dicembre 2010

These are a few of my favourite things

Ora, nonostante la patina di cinismo e il piglio scorbutico che devo alla mia maestra di vita e icona femminile Lucy Van Pelt, a me il Natale piace. E intendo il Natale nel senso esteso cui ci ha costretti la nostra consumistica società occidentale.

Soprattutto mi piace:

1) La sospensione del conto calorico di qualsiasi cibo ingurgitato tra l'8 dicembre e il 6 gennaio: durante le feste vale tutto, compreso il consumo di alcolici a partire dal mattino (ok, questo conta solo per il bombardino sulle piste da sci) e il rimpinzarsi di cioccolata in ogni sua forma e variazione. Con l'aggiunta di godurie di stagione come la Papaya disidratata (so che non è di stagione, ma se ne trova a chili in questo periodo)

2) Fare il mio albero di Natale, non quello tristanzuolo e pre-addobbato che ho a Torino ma quello barocco, colorato e sovraccarico che faccio a casa dei miei. Con le stesse palline di quando ero piccola e un paio del primo albero dei miei (1960!!)

3) Impacchettare regali con un riciclo creativo della carta, fiocchi e nastri dell'anno precedente (il mio contributo a un Natale sostenibile).

4) Preparare i regali con le mie manine: biscotti, marmellate e quant'altro (secondo contributo a un Natale sostenibile).

5) Aprire i regali la mattina del 25 ancora in pigiama neanche avessi 6 anni.

6) Le luminarie stile Las Vegas di alcuni vicini di casa.

7) Luci d'artista: appunto per ribadire lo sbrodolamento del Natale che comincia subito dopo i Santi. Qui a Torino le bellissime luci che il mondo ci invidia e i milanesi ci copiano si accendono a inizio Novembre. Quest'anno sono cresciute e ci sono cose divertentissime come l'installazione di Richi Ferrero a Palazzo Chiablese.

8) Il traffico visto dal sedile di un autobus, almeno fino a quando non sono costretta a prendere la macchina per andare in centro.

9) I film di Natale: una volta c'era La vita è meravigliosa, ora la mia generazione ha Una poltrona per due. Non so se sia un buon segno, ma se Italia1 non lo trasmette per me non è Natale.

10) La canzoni di Natale: non siamo purtroppo a livello di New York dove ogni singolo negozio spara Rudolph the red nose reindeer o Winter Wonderland ma ci stiamo attrezzando.

Auguri a tutti, neh.

giovedì 16 dicembre 2010

Malanni di stagione

In attesa di preparare un resoconto dettagliato del mondo che si è aperto ai miei occhi profani grazie a un innocuo aperitivo per il compleanno di un'amica, sono costretta a casa da tosse e acciacchi vari.

Ora, se la mia vita fosse un film, e se il film fosse una commedia romantica americana, a quest'ora busserebbe alla mia porta LUI, che in genere ha le fattezze di Tom Hanks, ma nel mio caso preferirei che so, Colin Firth (lo so che è inglese, ma vuoi mettere?).
Arriverebbe a portare conforto, brodo di pollo e tè caldo. Uh sì, e fiori.
Non farebbe caso al mio aspetto, per quanto, essendo pur sempre un film, io avrei soltanto i capelli elegantemente scompigliati e gli occhi lucidi (per la febbre o l'emozione).
Veglierebbe amorevolmente sul mio sonno e la mattina dopo mi sveglierei radiosa.

Ma non essendo un film, sono qui scossa dalla tosse, col frigo semivuoto e zero voglia di cucinare qualcosa di più complicato di una minestrina. E stasera vado a letto con la borsa dell'acqua calda.
Sgrunt.

lunedì 6 dicembre 2010

Separati alla nascita

Vi prego ditemi che non lo vedo solo io.
A sinistra Taylor Kitsch da The Bang Bang Club
A destra Emile Hirsch da Into the wild (la foto non gli rende troppa giustizia)










TFF - la settimana dopo

Qualche riflessione sull'appena trascorsa edizione del Torino Film Festival

Film visti: 17 (cominciamo bene)

Code fatte:
Tante e la maggior parte al freddo. Tanto per ribadire che il sistema dei biglietti di fascia blu mi sembra una cavolata. Poi è vero che siamo a Torino e non nella spianata desertica del Lido, quindi la dotazione di bar/pizze al taglio/kebabbari ti salva almeno dalla fame - e la cioccolata calda dal freddo.

Stelline e stellette:

Suck - di Rob Stefaniuk ** al ***
Inside America - di Barbara Eder ***
Scuolamedia - di Marco Santarelli ***
Las marimbas del infierno - di Julio Hernandéz Cordòn **
Myra Brekinridge - di Michael Sarne ****
Tournée - di Mathieu Almaric ***1/2
The special relationship - di Richard Loncraine ****
Soulboy - di Shimmy Marcus ***
White Irish Drinkers - di John Gray ***
Jack Goes Boating - di Philip Seymour Hoffman ****1/2
La mosquitera - di Augustì Vila *
Cyrus - di Jay e Mark Duplass **1/2
Requiem for Detroit? - di Julien Temple ***
Small Town Murder Songs - di Ed Gass-Donnelly ****
The bang bang club - di Steven Silver ***1/2
Neds - di Peter Mullan ***1/2
Vampires - di Vincent Lannoo **1/2

Musica sentita:
Tanta e bella per la gran parte (ok, ancora qualche dubbio sul rock satanico guatemalteco con marimbas). Poi Northern Soul, Motown, la colonna sonora di Jack Goes Boating (tutta - e la discografia completa dei DeVotchKa che gira nell'iPod da 3 giorni) e quella di Small Town Murder Song (Bruce Peninsula).

Parere finale:
Una buona qualità media, al solito non ho visto il film vincitore e nemmeno quello di cui hanno parlato tutti per giorni (The Infidel). Alcune cose mi sono piaciute molto, altre meno, non sono mai uscita dalla sala cosciente di aver sprecato due ore di vita come spesso accade a Venezia. Poi magari è stata fortuna.

venerdì 19 novembre 2010

Tipi da concerto


Vado spesso ai concerti da sola, probabilmente perché i miei amici non condividono appieno i miei gusti musicali e nondimeno per il fatto che frequento i 30enni più vecchi del mondo.

Nel corso degli anni mi sono accorta che comunque non sono la sola, c'è tutto un mondo là fuori di frequentatori solitari di concerti (aka the lonesome concert-goer)
Presento dunque senza indugio una breve rasssegna:

Tipo 1)
Il fan maniacale - (mi ci ritrovo l'80% delle volte)
Arriva in anticipo per piazzarsi sotto il palco, dove notoriamente si sente di merda, ma sei vicino al gruppo.
Recupera beni di sostentamento per la serata (birra - i più spirituali, che hanno raggiunto un livello ascetico di venerazione, acqua, ché nessuna sostanza vada a interferire con la musica), si piazza sotto il palco, centrale, difende con la tenacia di un alpino sul Carso il suo posto in prima fila. Dà le spalle al locale, in segno di dedizione totale, al massimo si concede qualche sguardo altezzoso ruotando la testa stile Linda Blair ne L'Esorcista. In genere si crede superiore a tutti gli altri convenuti, che sicuramente non amano né conoscono il gruppo quanto lui.

Pro:
- vedere bene i concerti,
- riuscire a leggere la scaletta in anteprima,
- (per i musicisti) poter valutare al meglio strumenti, cavetti, pedaliere, amplificatori, valvole e quant'altro,
- (per le groupie) stare molto, molto, vicino al gruppo.
Contro:
- essere l'unica persona sopra i 30 della fila (e almeno io sentirmi la zia di tutti quanti),
- danni irreparabili all'udito,
- essere circondato da adolescenti nerd che nonostante abbiano 12 anni conoscono a memoria la completa discografia del gruppo.

Tipo 2)
Il finto casuale - (il restante 20%)
Al concerto ci va perché il gruppo è interessante, lo incuriosisce, ma non può definirsi un fan vero e proprio, magari non l'ha mai sentito, ma l'amico dell'amico del cugino una volta ha suonato con loro e, cioè, spakkano proprio.
Arriva un po' prima, ma tranquillo.
Recupera beni di sostentamento per la serata (birra), e gironzola per il locale, all'inizio raso i muri, poi si lancia in attraversamenti diagonali della sala. Ai festival, si fa un giro tra il paninaro e i banchetti di vinili, cd e magliette.

Pro:
- a forza di girare capita che davvero incontri qualcuno che conosci, e di uscire quindi dalla categoria,
- ancora meglio conoscere qualcuno di nuovo, e una canzone del gruppo sarà la colonna sonora della vostra storia, c**zi vostri se siete fan dell'hardcore punk
- scoprire gruppi che ti piacciono

Contro:
- continuare ad avere l'aria un po' spaesata
- sparire nelle retrovie ed essere ingoiato dalla folla, finendo dietro all'immancabile tizio alto 1.90e coi capelli di Caparezza
- scoprire che era meglio non scoprire quel particolare gruppo

Tipo 3)
La zecca da festival (tratto da una storia vera)
In parte una sottospecie del fan maniacale del punto 1).
Solo, si aggira con lo sguardo spiritato. E' circondato da un'aura di socialità non richiesta. Scruta la sala/il prato cercando di stabilire un contatto visivo con qualcuno, non importa se la vittima sia sola o in gruppo. Una volta riuscito si attacca al malcapitato iniziando a parlare, del gruppo, del concerto, del festival, della storia della musica mondiale dagli Assiri a oggi. Ti travolge con un mare di parole, di citazioni, di aneddoti. Quando discretamente tenti di seminarlo dirigendoti verso il bar, si scopre il suo vero obiettivo: "Non è che mi presti un euro ché ieri ho speso tutto a sentire _insert group here_ a Milano e sono un po' a corto?". Gli offri una birra sperando di zittirlo e lui, soddisfatto, tace.

Pro se appartieni alla categoria:
- birra gratis,
- trovare un tuo simile e quindi annichilirvi a vicenda a furia di citazioni e aneddoti.

Contro (se ne sei vittima)
- dover offrire la birra,
- essere stordito dalle chiacchiere e non riuscire a sentire il concerto,
- essere abbandonato dai tuoi amici che, iene, si allontanano lasciandoti al tuo destino. Li ritroverai alla macchina, e solo perché sei tu che hai le chiavi.

giovedì 18 novembre 2010

Life during wartime #2

Interno.
L'uomo fissa il panorama oltre il vetro appannato della finestra. Sta calando la sera.
Un soldato bussa alla porta, non aspetta risposta ed entra.

-Signore, notizie dal fronte.
-Ebbene?
-Situazione di stallo, signore. Non riusciamo a conquistare terreno, mentre gli altri eserciti avanzano. L'inverno si avvicina, le piogge degli ultimi giorni non sono che l'inizio.
-Dobbiamo puntare sulla popolazione civile. Si avvicina l'anniversario della fondazione, intensifichiamo i messaggi della propaganda. Devono capire che noi siamo dalla loro parte.
-Bene signore, riferirò gli ordini.


Il soldato esce. Fuori continua a piovere.

lunedì 8 novembre 2010

Un paio di giorni sotto la Mole

Avercene di weekend così.
Di quelli in cui non sai veramente cosa scegliere, in cui starsene a casa è un delitto, in cui dovresti essere una e trina per correre dappertutto.

Nel mio piccolo, dopo aver dato sfoggio di capacità culinarie di cui a breve renderò conto sulla fuffa (realizzando di conseguenza che sono una donna da sposare o una cuoca da assumere - secondo esigenza), sono andata (in ritardo) a sentire Stelarc al Museo di Scienze Naturali per lo Share Festival. Parlava di questo, per la cronaca.

Poi c'è stato tempo per un aperitivo al Lutece, prima di andare a San Salvario, per Paratissima e il concerto da balcone dei Motel connection. In pratica un isolato di street parade.



Poi c'erano le mostre, la gente, la temperatura perfetta, il casino. E un tizio che mentre suonavano i Motel connection, sfodera il suo iPhone e consulta la pagina Wikipedia su Chiamparino (giuro!).

Domenica mi sono consumata i piedi su e giù per l'Oval per quella fiera delle vanità che è Artissima. Come al solito la cosa più interessante era fare people watching, ma l'allestimento di quest'anno e la casa delle contaminazioni mi sono piaciute tantissimo.

Poi di nuovo Paratissima per vedere quello che mancava dal giorno prima, l'aperitivo al Biberon, e praticamente una media di pastis gentilmente preparata al banchetto della manifestazione in Piazza Madama Cristina e sorseggiata al ritmo di pizzica.

E a casa infine, a calmare i miagolii della gatta affamata.

martedì 26 ottobre 2010

Life during wartime #1

Esterno notte, un soldato avanza in una trincea. Arriva a una piccola porta, che si apre su una stanzetta sotterranea. Un tavolo, una sedia, una lampada a gas.
Un uomo chino su una mappa.

- Porto notizie dal fronte signore.
- Esito dell'offensiva?
- Tutte le munizioni utilizzate. Nessun obiettivo colpito, signore.
- Che vuol dire nessun obiettivo? Come è possibile?
- Abbiamo seguito le indicazioni, eravamo sicuri. Ma nulla.
- Nessuna reazione?
- Nessuna.
- E le altre forze in campo?
- Conquistano terreno.
- Perdite?
- Limitate, ma il morale delle truppe è basso.

L'uomo torna a chinarsi sulla mappa. Osserva la distribuzione degli eserciti sul territorio, l'avanzata dei nemici, il ripiegamento del suo esercito.
Chiude gli occhi e sospira.

-Signore, quali sono gli ordini?
-Mantenete le posizioni, per ora.


(continua?)
(e sì, la guerra è una metafora)

martedì 19 ottobre 2010

E gli spot per le donne

Si è molto parlato ultimamente della mercificazione del corpo delle donne e il suo uso sconsiderato in pubblicità a beneficio degli ormoni maschili.

Approfitto però della finestra del mio blog per manifestare il mio fastidio profondo per alcuni spot destinati alle donne. Che non offendono nessuno in senso stretto, ma che mi sembrano soprattutto cretini.

Prima situazione
-Lui e lei romanticamente accoccolati sul divano. Suonano alla porta. Lui cavallerescamente si alza e va ad aprire.
E fin qui.
Alla porta c'è una specie di blob grigiastro e polveroso con tanto di valigia, pronto a colpire e depositarsi ovunque. E lui che dice?
"Cara, c'è qualcuno per te"
Al che lei intraprende una battaglia a colpi di piumino tecnologico. Il tutto mentre lui continua a guardare la tv sul divano.
Ora.
Mio caro, appurato che la polvere deve essere questione femminile mentre tu ti godi la tv, non ti lamentare se la prossima volta che il postino o, meglio, il ragazzo dell'acqua suona alla porta me ne vado con lui



Seconda situazione
- Gruppo di amiche che discute sulla difficoltà di lettura dei test di gravidanza, fino a quandi una tira fuori quello rivoluzionario che non solo ti dice chiaro e tondo se sei o meno incinta, ma pure da quando.
Non so voi, ma in genere, per quanto scombussolate da ormoni impazziti e visioni di pappe e pannolini, le donne riescono a distinguere segni basilari come lineette, più, meno e pure faccine sorridenti (ca**o ridi?) E magari non smaniano di vederlo lì scritto chiaro e tondo. Poi soprattutto, perchè diamine programmarlo nell'intervallo pubblicitario prima dei Simpson? Le future puerpere sono tutte fan dei cartoni? Vi assicuro che tra il pubblico maschile di tardoadolescenti tipico del programma (e con tardoadolescenti intendo dai 25 in su) questo spot ha lo stesso effetto di un buono sconto per una vasectomia.

Terza situazione
- Uno spot su un detergente intimo in cui parlano due rubinetti. Si lamentano dell'assenza della proprietaria del bidet. E non aggiungo altro.

Quarta situazione
- Parigi, lei attende lui su una magnifica Mercedes decappottabile. Lui esce da un portone e si mette al volante della sua auto dall'aspetto vintage (mi si perdoni il non riuscire ad identificarne marca e modello, una Porsche?).
La musichetta di Un uomo, una donna.
Lei lo segue.
E lo tampona.
E si dispone languida sul sedile mostrando il collant di pizzo.
Claim: Una storia inizia, ad un certo punto.

Certo, provate a tamponare un tizio per rimorchiarlo, e se siete fortunate la storia inizia sì, ma con il vostro avvocato.

martedì 12 ottobre 2010

Trenitalia stories

Un post al volo per ribadire la mia esistenza. Ci sono, son viva, ma prima di uscire dal mio circolo di non morti o Diversamente vivi (minispot promozionale - andateci! alla Mole! proprio dentro, non sotto!, fino al 9 gennaio - fine minispot) ci vorrà ancora un po'.

In questo ultimo anno ho viaggiato in treno in svariate occasioni e per svariati motivi in genere su distanze medio lunghe, sopra le tre ore più o meno, e grazie a Trenitalia-Ferrovie dello Stato, chiamatelo come volete, anche con qualche surplus orario non previsto. La cosa mi ha permesso di entrare in contatto con varia umanità, dandomi lo spunto per una nuova rubrica e si inizia con due segnalazioni.

Il treno:
Regionale - da Savona a Ventimiglia - 01/10/2010

Marito: Da dove arriva questo treno?
Moglie: Dalla località dove Manzoni ha ambientato i Promessi sposi: Recco


Il treno:
Eurostarcity Frecciabianca - da Verona a Milano - 11/10/2010

Seduta davanti a me una ragazza più o meno mia coetanea legge alcune riviste. Tra un abbiocco e l'altro sbircio la prima rivista: Curarsi mangiando, speciale di Riza Psicosomatica. Normale, un po' fricchettona per i miei gusti.
Seconda rivista: Armi magazine di Ottobre. Anomala, visto il personaggio, con quel maglioncino mi avrebbe convinto di più Rakam.
Il picco di surrealità (e raccapriccio) si raggiunge con la terza rivista: uno speciale di Caccia a palla dedicato al capriolo. L'apparato iconografico è inquietante, ma affascinata come la vittima di un cobra non riesco a staccare lo sguardo: dettagli su caprioli colpiti in vari punti, istruzioni per costruire trofei con le corna, istruzioni per l'eviscerazione. Agghiacciante. Cerco di riaddommertarmi e non sognare Bambi.

mercoledì 15 settembre 2010

Riflessioni a freddo

Come i miei 3 lettori sanno, in anni recenti ho coltivato l'abitudine di frequentare la mostra del cinema di Venezia. E di riuscire con una certa sistematicità a NON vedere mai il film vincitore.

Quest'anno è successo.

Ho visto Somewhere di Sofia Coppola.
Ma avrei preferito mantenere viva la tradizione, o tutt'al più vedere premiato un altro film che invece ho apprezzato moltissimo: Silent Souls di Fedorchenko (se mai uscirà anche in sala fatevi del bene, andatelo a vedere).

Non che abbia preconcetti su Sofia, per carità. Anzi, Il giardino delle vergini suicide e Lost in translation mi sono sempre piaciuti molto. Poi qui c'era una mia cotta adolescenziale come Stephen Dorff.

Ma più ci penso più mi vengono in mente aspetti che non ho gradito in quest'ultimo film. Non solo scelte registiche discutibili e compiaciute, ma soprattutto il modo in cui sono rappresentate le donne (tutte, tranne la figlia ovvio)

Quindi vado di seguito a elencare ***spoiler***(quindi smettete di leggere se volete vedere il film, ci vediamo alla prossima)

Ballerine di pole dance in coppia (pure gemelle)
Squinzie random incontrate nei locali
Modelle (che si fanno pettinare in topless sul balcone del corridoio)
Squinzie random che si fanno trovare nude nel letto
Attrici che si è trombato il protagonista
Attrici italiane e potenziali stalker che si tromba il protagonista
Simil letterine/veline
Valeria Marini!!
Agente (deus ex machina telefonico) rompicoglioni
Madri snaturate che abbandonano figlie preadolescenti

Dimentico qualcosa?

lunedì 6 settembre 2010

My Venice days - 2010

E rieccoci sulla laguna...

Solo che quest'anno causa lavoro non si può stare per troppo tempo, quindi un weekend e via.

Bisogna capitalizzare l'accredito, quindi parte il tour de force: 12 film in 3 giorni, o due e mezzo chè venerdì per recuperare l'accredito si perde la prima proiezione.

Nella mia espansione territoriale in laguna, quest'anno ho trovato alloggio a Venezia Venezia e dedicare al sonno la mezz'ora che passavo sul ponte è già un bel guadagno (ma sempre alle 6.30 ti devi svegliare)

Giornata 1: funestata da una specie di diluvio universale durante la proiezione di Norwegian Wood - di Tran Anh Hung con il tendone del Palabiennale che non pareva molto stabile. Fuori sembrava di stare in laguna senza gondole.

Norwegian Wood - di Tran Anh Hung ***
Guest - di José Luis Guerìn ***
Incendies - di Denis Villeneuve ***

Giornata 2: tabella da festival standard e serata in Campo Santa Margherita per cena e spritz
(e ricadute telefoniche)

Somewhere - di Sofia Coppola **
Jiangyu (Reign of Assassins) - di Su Chao-Pin/John Woo ***
Hitparzut X (Naomi) - di Eitan Zur ****
A woman - di Giada Colagrande (no va be' era uno scherzo vero? - in una parola: terribile)

Giornata 3: ultima, quindi funestata da ansia cinefila di vedere il più possibile e mal me ne colse...

Potiche - di Francois Ozon ***
La passione - di Carlo Mazzacurati ***
Ovsyanki (Silent Souls) - di Aleksei Fedorchenko *****
Hai paura del buio - di Massimo Coppola ***
Caracremada - di Lluis Galter (di Bresson ce n'è uno, tutti gli altri sono una noia mortale)


Grazie al cielo, come l'anno scorso, una frase da ricordare:

Karma is really a bitch da Jiangyu (Reign of Assassins)

Vip avvistati: Giuseppe Battiston (che a me fa sangue, quell'uomo), Maya Sansa, Nichi Vendola, Michele Placido, Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Massimo Coppola, Mimmo Calopresti, Filippo Timi... (ne dimentico qualcuno di sicuro)

E il cielo tramonta su un'altra edizione...

lunedì 30 agosto 2010

Allarme criminalità a Torino

Tornata su queste pagine dopo lunga assenza, non posso non preoccuparmi per l'ondata di criminalità che si riversa ogni giorno a Torino.

Stamattina, nel dormiveglia delle 7 o poco più, ho sentito cadere una bottiglia che uso per bagnare le piante quando non ci sono. Pensando fosse stato un piccione o simili, non me ne sono preoccupata.

Un paio d'ore dopo, andato via il sole da quel lato della casa, ho tirato su le tapparelle per bagnare le piante (la mia edera e la rosa, ché la lavanda inglese ha perso la battaglia con gli afidi e a breve meriterà degna sepoltura.

E il vaso, semplicemente, non c'era più.

Tutto il vaso, edera e rosa e terra e tutto.

E quindi, pur stupendomi dell'esistenza di ladri dal pollice verde non posso che avere per lui/lei un pensiero:

BASTARDO/A.

Rivoglio la mia pianta.

(E comunque ha bisogno di acqua 3 volte la settimana)

mercoledì 30 giugno 2010

GTT Stories #5: parliamone


Lo sapete, sull'autobus tendo a non farmi mai i fatti miei.

Lunedì scorso tornavo da serata al cinema Massimo per vedere un documentario su e due corti di Robert Frank, autore di quello stupendo libro di fotografia che è The Americans.
Faceva caldo, il 18 non passava e decido di incamminarmi verso la stazione e il solito 35.

Ed è qui che salgono i miei eroi: sono quattro tipici adolescenti di periferia, sui 15 anni al massimo. Parlano infervorati (ovvero strillano). Non di calcio, videogiochi, sesso (non necessariamente in quest'ordine)
Di cosa parlano?

Di RELAZIONI

Come in una puntata di Sex and the City, in pratica. Senza i Cosmopolitan e i tacchi, ovviamente, ma se si fosse potuto trascrivere tutto quello che si sono detti ne usciva un episodio paro paro.
Stavano sezionando la relazione di uno di loro con una tizia e la paragonavano ad altre storie, altri ragazzi, altre ragazze.
Assolutamente magnifici.
Alcune perle:

"Come nella canzone di Ferretti (Renè?? - dai, dai, dai) Chi meno ama è più forte"

"Se la mollo devo essere sicuro che sparisce. Quindi o me me vado io o se ne va lei"

"E' sempre sbagliato fare entrare la tipa ne tuo gruppo"

"A te fa piacere che la tua ragazza porti il perizoma, cioè, non che lo porta, ma che si vede?" (congiuntivo, questo sconosciuto)

La risposta non la sapremo mai, mi è toccato scendere.

martedì 15 giugno 2010

La pioggia su Torino

Parliamo di estate.
Parliamo di caldo, vestiti leggeri, sandali.
Parliamo di diluvi torrenziali e improvvisi.

Il primo l'ho preso dopo il bike pride, magnifica biciclettata in numerosa compagnia. Finito il giro, gonfiati copertoni esplosi, due chiacchiere con gli amici e poi via.
Tempo di arrivare in Piazza Vittorio e rispondere a una salvifica telefonata della mamma, che ti ritarda giusto il tempo di non essere alluvionati ai Murazzi e riesco a buttarmi nell'ultimo angolo di portici. Ad aspettare. E aspettare. E aspettare che spiova. Se spiove. Forse sì, forse no. Qualche eroe parte lo stesso, bagnandosi fino al midollo, immagino.
Quando, dopo un'eternità, il diluvio concede una tregua, parto lo stesso, affronto le cascate a bordo pista ciclabile sul Po e in qualche modo arrivo a casa.

Il secondo è stata colpa mia in effetti.
Ieri tornavo a casa da un seminario e al solito leggevo, sul 18. Il cielo plumbeo sopra, non prometteva niente di buono. Ma io, ingenua e fiduciosa, ma soprattutto senza ombrello, pensavo di farcela.
Ma non consideravo il fattore perturbante. E non in senso atmosferico. In senso letterario, semmai.
Michael Chabon.
Come uno scrittore di Washington che sta in California possa interferire con la mia grigia esistenza è presto detto e giustificato da una semplice cifra: 821.
Le pagine di Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay in edizione BUR.

E per essere precisi la lettura di quelle tra 285 e 308.
Che nell'ordine mi fanno saltare la fermata, scendere nel nulla in via Passo Buole (senza un balcone, una tenda o una pensilina sotto cui ripararmi) e prendere in pieno il diluvio universale di ieri sera.
Io sono arrivata a casa fradicia.
Michael Chabon e le sue 821 pagine stanno ad asciugare sotto un paio di dizionari.

Ah, e il libro è pure della biblioteca.

martedì 18 maggio 2010

The importance of being Jonathan.

Giuro che poi la smetto, però l'overdose lethemiana del Salone del libro mi ha riportato alla mente una cosa che volevo scrivere da un po'.

C'è stato un periodo della mia vita in cui apparentemente ogni libro leggessi aveva un autore (e fin qui, direte voi) di nome Jonathan. Ok, non OGNI libro, ché magari ne leggo un po' di più, ma di sicuro una percentuale considerevole.

Jonathan Lethem. Va be', lo sapete: tutti

Jonathan Ames. Sveglia, Sir, Veloce come la notte

Jonathan Safran Foer. Ogni cosa è illuminata

Jonathan Franzen. Le correzioni, Come stare soli

Jonathan Carroll. Mele bianche, Zuppa di vetro

Jonathan Coe. Non tutti, ma comunque troppi per star qui a far l'elenco.

Mi manca (ma non troppo) solo Jonathan Littel, in pratica.

Sono tutti scrittori viventi, giovani in un'accezione ampia del termine, tutti americani tranne Jonathan Coe. Alcuni di questi li continuo a leggere, altri li ho messi da parte.
Cosa abbia condotto a una tale coincidenza mi incuriosisce, non lo nego.
Prima di loro, dovessi citare qualche romanziere, mi verrebbe in mente solo Jonathan Swift (la connessione, almeno nel caso di Lethem e Carroll, ha molto senso).
Da internet apprendo che Jonathan significa "dono di Dio", e dirvi a chi secondo me si applica letteralmente questa definizione mi pare superfluo...

Negli 1985 1,254% dei bambini nati negli USA si chiama Jonathan, ma nel 2008 crolla allo 0,591% (dati presi qui).

Bisogna intervenire.
Non in Italia, però. L'accostamento del nome a cognomi nostrani non mi suona proprio (to' Jonathan Pautasso, per dire, non mi pare destinato a entrare negli annali della storia) e tutt' al più mi parrebbe un nome da tronista.

So let me lead an international campaign: Name your son Jonathan, and there is a good chance he'll be a writer.

sabato 15 maggio 2010

Chronic City

Maggio, andiamo, è tempo di Salone (di nuovo) del libro. Anni passati a chiamarlo salone quando era la Fiera, e appena impari cambiano di nuovo il nome.

Ogni anno all'annuncio del programma del salone vado sul sito e cerco i nomi dei miei scrittori preferiti. E parto da lui.
Quest'anno senza nemmeno cercare, il nome era lì, tra i grandi ospiti.
Inutile dire che decido di affrontare la massa del sabato pur di essere all'incontro.

Sabato, h 12, sala azzurra.

Avendo già autografato e letto l'ultimo romanzo, Chronic City, mi porto dietro You don't love me yet e l'amato The fortress of solitude.

Come fan, mi colloco a metà tra una groupie letteraria e una fan adolescente di Robert Pattinson, più groupie letteraria comunque.

Le amiche che mi accompagnano sopportano il fatto che io voglia mettermi in coda con mezz'ora di anticipo per essere in prima fila solo grazie allo spettacolo che offro, un mix di ansia, logorrea e sovraeccitazione.

La giornata comincia benissimo, mentre seduta (compostamente) alle biglietterie, lui mi passa accanto e vado in iperventilazione. Mi stupisco come sempre che non giri circondato da folle di fan urlanti come la sottoscritta.

Nella Sala azzurra, finito il dinamico incontro sulla modernità di Baruch Spinoza (!), finalmente riesco a entrare e piazzarmi in terza fila, la prima senza odiosi cartelli "Riservato". I posti delle prime file continuano a essere vuoti e quando sto ormai pensando che sia una sorta di cordone sanitario messo per tenermi lontana e che paventati ordini di restrizione nei miei confronti non siano così improbabili, Mattia "Il saggiatore" Formenton in persona, toglie i cartelli dicendo che erano posti per la casa editrice, ma non ha senso lasciarli vuoti. Con un agile tuffo carpiato e lancio dello zaino mi sistemo in prima fila.
Inizio a fare la secchiona disturbando gli astanti (lo so sono insopportabile).

Per farla breve, l'incontro comincia e lui è molto in forma. Come dice il giovane Holden, quando leggi i suoi libri vorresti che fosse il tuo migliore amico, per potere prendere su il telefono e chiamarlo per parlarne.

Passa il tempo, e temo che la domanda che mi sono preparata da circa due settimane venga bruciata dal critico letterario che conduce l'incontro. Arriviamo alla fine e il tema non è stato toccato nemmeno di sfuggita: si è parlato di percezione, di realismo e di cani.
Il turno per la prima domanda me lo brucia quello che da lontano mi sembra Marco Philopat, ma potrei sbagliarmi, che chiede perchè nel romanzo non si parli della cocaina che sicuramente si consuma alle feste del sindaco del romanzo (sic).
Dopo la risposta sulla percezione allucinata dovuta al consumo di maria dei protagonisti tocca a me.
Visto che c'è la traduzione simultanea opto per fare la domanda in italiano, anche perchè temo che nello stato di agitazione in cui sono il mio inglese sia regredito a "the pen is on the table".

Riassumendo la mia domanda (infarcita di "title dropping" per sottolineare il fatto che ho letto tutto quello che ha scritto) verte sul tema del salone, la memoria, sull'amnesia (tema ricorrente nei romani Amnesia Moon e Gun, with occasional music e nel volume di cui è stato editor The Vintage book of Amnesia) e sulla costruzione e ri-costruzione della memoria personale (in Motherless Brooklyn e The fortress of solitude) grazie alla cultura pop.

Quindi:

Mi dice "Great. Thank you for your question".

Qui il mio cervello va in freeze per 5 minuti, comunque ho preso appunti e presto inizierò a divulgare la risposta, che, credetemi, era piena di concetti fondamentali sulla cultura postmoderna. Sì è pure infervorato a rispondere.

Ma comunque, mi ha ringraziato, ha sottolineato come in effetti fosse giusto per lui essere al salone quest'anno visto il tema, e che effettivamente il rapporto memoria-amnesia è fondamentale nella sua opera, come anche la cultura composta da fumetti, cinema e dischi dei Rolling Stones.

Prima di uscire l'addetta stampa del Salone mi chiede di raccontarle l'epico Marathon reading alla BookCourt, poi chiede il mio nome e penso che dopo la figura per i posti pure lì riconoscano ormai il mio ruolo di stalker ufficiale.

* update: in realtà mi ha chiesto il nome per grassettarmi in un articolo sull'incontro, (the ego is linkable in the glove compartment)

Alla fine dell'incontro mi catapulto allo stand Saggiatore dove sta firmando le copie del suo libro. In coda, una ragazza mi guarda e mi dice "Ah, volevo farti i complimenti per la domanda, preparatissima, mi hai lasciato senza fiato".
E già.
Quando arriva il mio turno, gli chiedo di firmare le copie dei libri precedenti perché l'ultimo me lo aveva già firmato a NY, gli faccio i complimenti per la resistenza e prima che me ne vada mi ridice:

"Thanks again for your question"

Ora.
Io non sono persona da lasciarsi andare a facili entusiasmi, lo sapete.
Però per citare una frase dal suo vecchio sito:

The ego is huge in the glove compartment.


Ah, lui è JONATHAN LETHEM


lunedì 10 maggio 2010

Piccola storia di provincia


La Giù sotto il faro della stazione (o la torre civica)

C'era una volta una bambina che lo sport l'aveva sempre visto in televisione, anche perché viveva a Torino, e quindi o Juve o Toro, ma allo stadio neanche a parlarne.
A dieci anni la bambina si trasferisce in provincia e scopre che la nuova città ha una squadra di pallavolo e, sarà stato il '91 o il '92, scopre che quella squadra, nonostante sia in A1, non gioca in un palazzetto vero, ma in una specie di tendone da circo a strisce biancazzurre praticamente dietro casa sua.

Succede che va a vedere una partita. Succede cha da buongustaia in erba sa che uno sport giocato da 12 individui alti più di un metro e ottanta e portatori sani di addominali ha il suo perché.

Da allora iniziano più di dieci anni di abbonamento, di partite la domenica sera o il sabato pomeriggio. Di coreografie dei Blu Brothers che son le più fighe, niente da dire.

Anni di andate e ritorni a piedi dal palazzetto dello sport, quello vero, finalmente, ma a San Rocco Castagnaretta, ché alla fine è vicino uguale. Di andate e ritorni con la macchina, nell'autoscontro per uscire dal parcheggio fangoso.

Anni di chinonsaltamodeneseè - è.

Di anni in cui abita a Torino e allora l'abbonamento a malincuore non lo fa, ma alle partite importanti c'è.

Di giocatori che si ricorda per i capelli (Lucchetta), perché sono stati la sua prima cotta sportiva (Jan Hedengard), quelli che è contenta se tornano al palazzetto anche se ora hanno la panza (Ganev), quelli che prima li mandava a f****lo perché giocavano contro di noi e poi se li trova in squadra (Sartoretti), quelli che continua a mandarceli perché così deve essere (Bernardi), giocatori che han tradito e allora basta (Papi) o quelli che applaudiva anche se portavano ormai una maglia diversa. Quelli dell'autografo sul poster ufficiale, che lo andava a chiedere subito dopo le partite vinte bene. Quelli che incontrava mentre portavano a spasso i figli sotto i portici, perché la cosa che le è sempre piaciuta di più è che fossero così normali e accessibili.

Di tanti e tanti campionati finiti al primo posto in classifica e persi ai playoff, che pensi perché non funziona come nel calcio che a quest'ora...

E arriva il 2010 e Cuneo è in finale, e mentre ha negli occhi ancora le partite delle scorse finali contro Treviso, sa che quest'anno o la va o la spacca, buona la prima, solo la bella.

E quando inizia la partita per un momento ha paura perché Trento che ha già vinto tutto gioca da paura, mentre Cuneo sembra essersi assentata un attimo per prendere il caffè.
Poi Cuneo torna, e non ce n'è più per nessuno.

Grazie, Cuneo. Formidabili quegli anni, e tutti quelli che verranno.

lunedì 8 marzo 2010

La festa della donna

Torno sotto la Mole dopo un po' di assenza dovuta a progetti paralleli.

Ma oggi mi sembra giusto ritornare su questa festa che non è fatta solo di mimose avvizzite pronte per il macero e spacciate a peso d'oro a quei gonzi che pensano basti il bel gesto per farsi perdonare le mancanze degli altri 364 giorni dell'anno.

Questo 8 marzo 2010 spero sarà ricordato come il day after la vittoria agli Oscar di Kathryn Bigelow. Che porta a una serie di considerazioni:

1 - non è mai troppo tardi per prendersi una bella rivincita contro l'ex marito - sentito James?
2 - L'Academy fa vincere un film sull'Iraq, e non uno con una divisione manichea tra buoni/cattivi, tecnologia/natura. Spero sia segno che l'America inizia a riflettere sulle guerre in corso
3 - si può essere donna e vincere un Oscar per un film molto maschile
4 - si può essere registe e assolutamente favolose
5 - si può avere 58 anni ed essere così (o almeno lei può):



Grazie Kathryn. You go, girl!

giovedì 18 febbraio 2010

GTT stories / 4


Ritorna la rubrica più amata della Giù sotto la Mole.

Come ormai sanno anche i sassi, passo metà della mia vita cosciente sui mezzi pubblici in pratica.
Nonostante le mie ben note attitudini sociali mi spingano a isolarmi in un ovattato mondo musicale, a volte non è proprio possibile non ascoltare le conversazioni altrui.

Un paio di mesi fa una ragazza seduta in un 35 incredibilmente affollato è impegnata in una conversazione con il fidanzato circa la possibilità di dare o meno una svolta al loro rapporto. Nel breve tragitto condiviso sono vengo a conoscenza del fatto che lui non si impegna abbastanza, che si fa influenzare dagli amici, che deve cambiare lavoro, che lei è stufa di stare ad aspettare.
Tutto questo riesco a sentirlo distintamente nonostante nelle mie orecchie risuonino i potenti accordi dei Foo Fighters. Io e la signora accanto ci scambiamo sguardi imbarazzati e sopprimiamo a stento il desiderio di intervenire in supporto del povero giovane.

All'inizio di quest'anno sono su un autobus di sabato mattina diretta in centro. Un ragazzo è al telefono con la ragazza e le dice che quel sabato gli tocca lavorare tutto il giorno per consegnare qualche progetto. La cosa è credibile visto che ha una tracolla porta computer e non la borsa del calcetto o lo snowboard, ma lei non lo può vedere. Intuisco reazione stizzita della ragazza e seguente pianificazione della serata, nonostante il povero giovane cerchi di farle presente che andare a far nottata per locali non è la sua priorità dopo un giorno di lavoro.

L'altro ieri tornavo a casa dopo serata cinematografica per evitare Sanremo. Su un 34 semideserto si siede dietro di me un tizio sui trentacinque anni al telefono con un amico. Mentre cerco inutilmente di superare il livello medio di Rock Band con il mio iPod (scoprendo che il mio futuro è il basso, decisamente) e quindi ho nelle orecchie Learning to fly sempre dei Foo Fighters, il tizio riesce a elencare in dieci minuti una serie di informazioni personali che la gente dovrebbe tenere per sè: soffre d'ansia, deve fare esami cardiologici, ha problemi sul lavoro perchè non riesce a far valere la sua autorità sui colleghi, la fidanzata l'ha mollato e si è tenuta la casa, lui ci ha messo dei mesi a trovarne un'altra (di casa, non ho informazioni sulla fidanzata).

Questa breve rassegna di tipi telefonico-pendolari vi sia di monito per imparare poche ma significative norme di comportamento:
- anche se non voglio, se urli è probabile che riesca a sentire le tue conversazioni. Quindi parla piano.
- non divulgare dettagli personali su stato mentale e/o di salute, poi è normale che la gente ti fissi
- non fare scenate al tuo amato bene sull'autobus, altrimenti la solidarietà di tutti andrà a lui/lei istantaneamente.

mercoledì 10 febbraio 2010

A walk by the seaside

I Clash sono la mia band da isola deserta.

E il mio preferito tra tutti è sempre stato Joe Strummer.

E vederlo così, cortese e sorridente, invitare ottusi turisti a un suo concerto ad Atlantic City non fa che renderlo più umano e ancor più straordinario.

Per la cronaca, pensavo che essendo dio, Joe Strummer girasse circonfuso da un alone luminoso a metà tra aura ed aureola. Evidentemente no.
Ma a tutti quelli che non gli danno retta e lo guardano come fosse uno sfigato qualunque: siete dei discreti c***oni, IMHO.



e io per un flier disegnato da Joe, avrei dato un braccio.

Questo l'ho trovato qui e qui.

giovedì 28 gennaio 2010

Shhhhhh!

Un bel tacer non fu mai scritto.

Parliamo di cinema.
Ma non di film, di critica o di storia, ma di cinema come piacevole esperienza che mi concedo a cadenza più o meno settimanale. Adoro andare al cinema, adoro le poltrone, la moquette, l'odore di polvere, le pubblicità prima dei film, i trailer, il buio in sala, stare seduta fino all'ultimo titolo di coda. Ma più di tutto adoro il silenzio in sala.
Sarà che sto invecchiando precocemente, che sopporto poco le persone, che sono scorbutica peggio di Lucy Van Pelt... Ma il punto è che se io vado al cinema, non è per passare il tempo, per ripararmi dalla pioggia, per pomiciare (e questo termine dimostra tutta la mia età), ma curiosamente, per guardare un film. Che significa, in genere, anche ascoltare un film. Anche quando, alle orecchie di un profano, non si presenta altro che silenzio. Perchè presumo che, se un regista lascia scorrere le immagini in silenzio, ci sia un motivo.

Quindi, provo notevole fastidio a sentire commenti, battute, vibrazioni telefoniche, conversazioni telefoniche (ma c*zzo rispondete???). Appoggio le risate, specie se il film è veramente divertente, anche quelle di cuore, eccessive ma in qualche modo coinvolgenti.
Volete commentare il film? Attendete l'uscita in DVD e commentatelo con il regista.
Provate un irrefrenabile desiderio di comunicare? Ci sono i bar, le strade, i portici... uscite e mettete in moto la lingua.
Volete dar sfogo alle vostre turpi pulsioni? Che ne dite di un bel locale per scambisti?
Tutti gli altri suoni che provengono dalla vostra bocca, a partire dalla comparsa sullo schermo del simbolo del primo produttore, mi infastidiscono profondamente.
Quindi, confesso, sono io che in sala faccio SHHHHHHHHH.
Vi irrita vero? Non sapete quanto mi irritate voi...

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