sabato 15 maggio 2010

Chronic City

Maggio, andiamo, è tempo di Salone (di nuovo) del libro. Anni passati a chiamarlo salone quando era la Fiera, e appena impari cambiano di nuovo il nome.

Ogni anno all'annuncio del programma del salone vado sul sito e cerco i nomi dei miei scrittori preferiti. E parto da lui.
Quest'anno senza nemmeno cercare, il nome era lì, tra i grandi ospiti.
Inutile dire che decido di affrontare la massa del sabato pur di essere all'incontro.

Sabato, h 12, sala azzurra.

Avendo già autografato e letto l'ultimo romanzo, Chronic City, mi porto dietro You don't love me yet e l'amato The fortress of solitude.

Come fan, mi colloco a metà tra una groupie letteraria e una fan adolescente di Robert Pattinson, più groupie letteraria comunque.

Le amiche che mi accompagnano sopportano il fatto che io voglia mettermi in coda con mezz'ora di anticipo per essere in prima fila solo grazie allo spettacolo che offro, un mix di ansia, logorrea e sovraeccitazione.

La giornata comincia benissimo, mentre seduta (compostamente) alle biglietterie, lui mi passa accanto e vado in iperventilazione. Mi stupisco come sempre che non giri circondato da folle di fan urlanti come la sottoscritta.

Nella Sala azzurra, finito il dinamico incontro sulla modernità di Baruch Spinoza (!), finalmente riesco a entrare e piazzarmi in terza fila, la prima senza odiosi cartelli "Riservato". I posti delle prime file continuano a essere vuoti e quando sto ormai pensando che sia una sorta di cordone sanitario messo per tenermi lontana e che paventati ordini di restrizione nei miei confronti non siano così improbabili, Mattia "Il saggiatore" Formenton in persona, toglie i cartelli dicendo che erano posti per la casa editrice, ma non ha senso lasciarli vuoti. Con un agile tuffo carpiato e lancio dello zaino mi sistemo in prima fila.
Inizio a fare la secchiona disturbando gli astanti (lo so sono insopportabile).

Per farla breve, l'incontro comincia e lui è molto in forma. Come dice il giovane Holden, quando leggi i suoi libri vorresti che fosse il tuo migliore amico, per potere prendere su il telefono e chiamarlo per parlarne.

Passa il tempo, e temo che la domanda che mi sono preparata da circa due settimane venga bruciata dal critico letterario che conduce l'incontro. Arriviamo alla fine e il tema non è stato toccato nemmeno di sfuggita: si è parlato di percezione, di realismo e di cani.
Il turno per la prima domanda me lo brucia quello che da lontano mi sembra Marco Philopat, ma potrei sbagliarmi, che chiede perchè nel romanzo non si parli della cocaina che sicuramente si consuma alle feste del sindaco del romanzo (sic).
Dopo la risposta sulla percezione allucinata dovuta al consumo di maria dei protagonisti tocca a me.
Visto che c'è la traduzione simultanea opto per fare la domanda in italiano, anche perchè temo che nello stato di agitazione in cui sono il mio inglese sia regredito a "the pen is on the table".

Riassumendo la mia domanda (infarcita di "title dropping" per sottolineare il fatto che ho letto tutto quello che ha scritto) verte sul tema del salone, la memoria, sull'amnesia (tema ricorrente nei romani Amnesia Moon e Gun, with occasional music e nel volume di cui è stato editor The Vintage book of Amnesia) e sulla costruzione e ri-costruzione della memoria personale (in Motherless Brooklyn e The fortress of solitude) grazie alla cultura pop.

Quindi:

Mi dice "Great. Thank you for your question".

Qui il mio cervello va in freeze per 5 minuti, comunque ho preso appunti e presto inizierò a divulgare la risposta, che, credetemi, era piena di concetti fondamentali sulla cultura postmoderna. Sì è pure infervorato a rispondere.

Ma comunque, mi ha ringraziato, ha sottolineato come in effetti fosse giusto per lui essere al salone quest'anno visto il tema, e che effettivamente il rapporto memoria-amnesia è fondamentale nella sua opera, come anche la cultura composta da fumetti, cinema e dischi dei Rolling Stones.

Prima di uscire l'addetta stampa del Salone mi chiede di raccontarle l'epico Marathon reading alla BookCourt, poi chiede il mio nome e penso che dopo la figura per i posti pure lì riconoscano ormai il mio ruolo di stalker ufficiale.

* update: in realtà mi ha chiesto il nome per grassettarmi in un articolo sull'incontro, (the ego is linkable in the glove compartment)

Alla fine dell'incontro mi catapulto allo stand Saggiatore dove sta firmando le copie del suo libro. In coda, una ragazza mi guarda e mi dice "Ah, volevo farti i complimenti per la domanda, preparatissima, mi hai lasciato senza fiato".
E già.
Quando arriva il mio turno, gli chiedo di firmare le copie dei libri precedenti perché l'ultimo me lo aveva già firmato a NY, gli faccio i complimenti per la resistenza e prima che me ne vada mi ridice:

"Thanks again for your question"

Ora.
Io non sono persona da lasciarsi andare a facili entusiasmi, lo sapete.
Però per citare una frase dal suo vecchio sito:

The ego is huge in the glove compartment.


Ah, lui è JONATHAN LETHEM


3 commenti:

noemi ha detto...

E invece io, che sono incline a facili entusiasmi, ti dico: Giuliana sei veramente una grande, ne ho la continua conferma. YOU ARE GREAT. Non mi perdo una puntata della tua saga con Lethem!! :D

La Giù ha detto...

Grazie Noemi, tu sì che mi capisci :D

Unknown ha detto...

Se qualche scettico fosse in lettura...esistono le prove: http://www.salonelibro.it/it/news-e-multimedia/notizie/10543-la-new-york-a-cipolla-di-lethem.html

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