mercoledì 30 giugno 2010
GTT Stories #5: parliamone
Lo sapete, sull'autobus tendo a non farmi mai i fatti miei.
Lunedì scorso tornavo da serata al cinema Massimo per vedere un documentario su e due corti di Robert Frank, autore di quello stupendo libro di fotografia che è The Americans.
Faceva caldo, il 18 non passava e decido di incamminarmi verso la stazione e il solito 35.
Ed è qui che salgono i miei eroi: sono quattro tipici adolescenti di periferia, sui 15 anni al massimo. Parlano infervorati (ovvero strillano). Non di calcio, videogiochi, sesso (non necessariamente in quest'ordine)
Di cosa parlano?
Di RELAZIONI
Come in una puntata di Sex and the City, in pratica. Senza i Cosmopolitan e i tacchi, ovviamente, ma se si fosse potuto trascrivere tutto quello che si sono detti ne usciva un episodio paro paro.
Stavano sezionando la relazione di uno di loro con una tizia e la paragonavano ad altre storie, altri ragazzi, altre ragazze.
Assolutamente magnifici.
Alcune perle:
"Come nella canzone di Ferretti (Renè?? - dai, dai, dai) Chi meno ama è più forte"
"Se la mollo devo essere sicuro che sparisce. Quindi o me me vado io o se ne va lei"
"E' sempre sbagliato fare entrare la tipa ne tuo gruppo"
"A te fa piacere che la tua ragazza porti il perizoma, cioè, non che lo porta, ma che si vede?" (congiuntivo, questo sconosciuto)
La risposta non la sapremo mai, mi è toccato scendere.
martedì 15 giugno 2010
La pioggia su Torino
Parliamo di estate.
Parliamo di caldo, vestiti leggeri, sandali.
Parliamo di diluvi torrenziali e improvvisi.
Il primo l'ho preso dopo il bike pride, magnifica biciclettata in numerosa compagnia. Finito il giro, gonfiati copertoni esplosi, due chiacchiere con gli amici e poi via.
Tempo di arrivare in Piazza Vittorio e rispondere a una salvifica telefonata della mamma, che ti ritarda giusto il tempo di non essere alluvionati ai Murazzi e riesco a buttarmi nell'ultimo angolo di portici. Ad aspettare. E aspettare. E aspettare che spiova. Se spiove. Forse sì, forse no. Qualche eroe parte lo stesso, bagnandosi fino al midollo, immagino.
Quando, dopo un'eternità, il diluvio concede una tregua, parto lo stesso, affronto le cascate a bordo pista ciclabile sul Po e in qualche modo arrivo a casa.
Il secondo è stata colpa mia in effetti.
Ieri tornavo a casa da un seminario e al solito leggevo, sul 18. Il cielo plumbeo sopra, non prometteva niente di buono. Ma io, ingenua e fiduciosa, ma soprattutto senza ombrello, pensavo di farcela.
Ma non consideravo il fattore perturbante. E non in senso atmosferico. In senso letterario, semmai.
Michael Chabon.
Come uno scrittore di Washington che sta in California possa interferire con la mia grigia esistenza è presto detto e giustificato da una semplice cifra: 821.
Le pagine di Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay in edizione BUR.
E per essere precisi la lettura di quelle tra 285 e 308.
Che nell'ordine mi fanno saltare la fermata, scendere nel nulla in via Passo Buole (senza un balcone, una tenda o una pensilina sotto cui ripararmi) e prendere in pieno il diluvio universale di ieri sera.
Io sono arrivata a casa fradicia.
Michael Chabon e le sue 821 pagine stanno ad asciugare sotto un paio di dizionari.
Ah, e il libro è pure della biblioteca.
Parliamo di caldo, vestiti leggeri, sandali.
Parliamo di diluvi torrenziali e improvvisi.
Il primo l'ho preso dopo il bike pride, magnifica biciclettata in numerosa compagnia. Finito il giro, gonfiati copertoni esplosi, due chiacchiere con gli amici e poi via.
Tempo di arrivare in Piazza Vittorio e rispondere a una salvifica telefonata della mamma, che ti ritarda giusto il tempo di non essere alluvionati ai Murazzi e riesco a buttarmi nell'ultimo angolo di portici. Ad aspettare. E aspettare. E aspettare che spiova. Se spiove. Forse sì, forse no. Qualche eroe parte lo stesso, bagnandosi fino al midollo, immagino.
Quando, dopo un'eternità, il diluvio concede una tregua, parto lo stesso, affronto le cascate a bordo pista ciclabile sul Po e in qualche modo arrivo a casa.
Il secondo è stata colpa mia in effetti.
Ieri tornavo a casa da un seminario e al solito leggevo, sul 18. Il cielo plumbeo sopra, non prometteva niente di buono. Ma io, ingenua e fiduciosa, ma soprattutto senza ombrello, pensavo di farcela.
Ma non consideravo il fattore perturbante. E non in senso atmosferico. In senso letterario, semmai.
Michael Chabon.
Come uno scrittore di Washington che sta in California possa interferire con la mia grigia esistenza è presto detto e giustificato da una semplice cifra: 821.
Le pagine di Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay in edizione BUR.
E per essere precisi la lettura di quelle tra 285 e 308.
Che nell'ordine mi fanno saltare la fermata, scendere nel nulla in via Passo Buole (senza un balcone, una tenda o una pensilina sotto cui ripararmi) e prendere in pieno il diluvio universale di ieri sera.
Io sono arrivata a casa fradicia.
Michael Chabon e le sue 821 pagine stanno ad asciugare sotto un paio di dizionari.
Ah, e il libro è pure della biblioteca.
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